............Tà Zoa...........

.....Il tuo blog-negozio a quattro zampe e due ali.....

domenica 1 gennaio 2012

Buon 2012

Vogliamo cominciare l'anno con una bella notizia?
Ma certo!!!
Soprattutto se riguarda un pelosetto...

Allora ecco la storia di Andrea, un gatto dello Utah, che era stato raccolto per strada a ottobre scorso ed avviato alla soppressione in quanto nessuno lo aveva reclamato nè alcuno si era offerto di adottarlo entro i termini previsti.
Dunque - come scrive il Times - gli amministratori del rifugio comunale di West Valley City avevano spedito il gatto nella camera a gas, assieme ad altri randagi.
Lui però è sopravvissuto.
Così il rifugio ha tentato una seconda “eutanasia”.
Questa volta Andrea sembrava morto e la sua carcassa era stata messa in un sacchetto di plastica in un congelatore. Ad un controllo, però, si è scoperto che il gatto, pur in evidente stato di ipotermia e sommerso dal suo stesso vomito, era ancora vivo.

Il rifugio ha fortunatamente deciso di interrompere i tentativi di sopprimerlo.
“Era una di quelle situazioni in cui si capisce che il gatto voleva continuare a vivere – ha spiegato Aaron Crim, del comune di West Valley City – pertanto gli è stata data l’opportunità di trovare una casa”.
A inizio dicembre Andrea è stato adottato da Janita Coombs, volontaria di un’associazione animalista.

Intanto le autorità hanno aperto un’indagine per capire come Andrea sia riuscito a sopravvivere per ben due volte... ma i risultati dell'inchiesta ci interessano poco.

Buona vita ad Andrea e Buon 2012 a tutti gli a-MICI, bipedi e pelosetti vari.

giovedì 30 dicembre 2010

... over the rainbow...

Dedicata al mio Momore e a tutti i nostri piccoli sul Ponte.
Per l'amore che ci hanno dato.
Per la struggente nostalgia che mi prende ogno volta che penso al suo musetto...

lunedì 10 maggio 2010

Doreàn

Casualmente (chissà poi se è proprio unicamente un caso o la tanto poco prossima Provvidenza!?!), quasi ogni volta che mi trovo sconcertata a pensare a quanto poco io mi senta rappresentata da certe gerarchie ecclesiastiche, mi capita di "conoscere" un Sacerdote.
Oggi è stato don Luisito Bianchi...
Ordinerò il suo libro "Quando si pensa con i piedi e un cane ti taglia la strada.
Ma so già che lo amerò... il libro, il Sacerdote e Doreàn, il cagnolino trovatello al quale fu imposto il nome di "Gratuità"...

(…)
Stavo, dunque, ritornando dalla località detta Occhiò, e avevo già infilato il viale recentemente alberato che dalla via Emilia porta dritto a Viboldone, quando vidi a metà strada, seguito da un cane nero, un signore dall’andatura di chi non sa che fare fino all'ora di pranzo. Mantenni il mio ritmo. Alla svolta per il borgo l'avevo quasi raggiunto. Il cane lo seguiva, con il muso a pochi centimetri da terra fiutando qua e la, convulsamente, quasi cercasse un'orma perduta. L’uomo passò davanti alla piazzetta antistante il cancello dell'abbazia, e il cane dietro. Subito dopo, io piegai ad angolo retto, il cane si bloccò, tornò indietro e mi seguì. Non gli feci caso; non mossi una mano per un cenno. Di cani non ne ho mai avuti — hanno tutti un padrone —; cammino sempre con un bastone in mano perché, nel mio andare fra i campi, suscito latrati furiosi e un bastone in mano mi da sicurezza, contro cani e altro. Ad abbaiarmi contro è perfino quel cagnetto che non ha padrone giacché è lui stesso padrone delle monache, e che risponde al nome di Bene, forse abbreviazione di Benedetto dato che le monache sono benedettine; allora gli dico: «Ohi, Bene, non fare lo stupido» e lui tace e mi manda una scampanellata di coda. Una volta gli volevo fare festa mentre scendevo in garage, e lo chiamai. Lui si portò a filo della ringhiera sullo scivolo, alzò la zampetta posteriore e fece quello che normalmente fa un cane in tale posizione. Un passo ancora e me la prendevo in testa. Forse non ci fu dolo, forse fu solo emozione per quella mia inusuale tenerezza, ma se fosse stato il cane d'un prete avrei detto: «Scherzo da prete!» (per sottolineare una diversità fisiologica fra Bene, marrone rossiccio, e l'altro nero, basti dire che quest'ultimo alzava, nei giorni che stette al monastero, chissà per quale ragione, la zampetta anteriore. «Va' là» gli dicevo «che non hai ancora imparato a fare il cane»). Non gli feci, dunque, caso, pensando che con la mia indifferenza l'avrei subito spinto dal suo padrone, il quale aveva ormai invertito il cammino passando ancora davanti alla piazzetta. Mi fermai prima di varcare il cancelletto, per dare modo al cucciolone di accorgersi che il suo padrone se ne stava andando e che lui, se non lo voleva perdere, doveva affrettarsi; e mi meravigliai che il signore non lo chiamasse, che continuasse a testa bassa la sua strada; e il cane lì, ad annusarmi, a girarmi attorno, a saltarmi addosso appena varcato il cancelletto, a farmi una serie di evoluzioni intorno, in silenzio. Non m'intendo proprio nulla di cani e del loro linguaggio, ma ebbi 1'impressione che mi volesse dire: «Guarda che al mondo non ci sei appena tu, ci sono anch'io». A ogni giro attorno alla mia persona tentava un salto verso il mio volto; e quanto più gli dicevo: «Smettila, sta' giù», raddoppiava i suoi disperati tentativi di farmi notare la sua presenza. Arrivai, con queste evoluzioni, al portone del monastero. Suonai, e alla monaca che apriva sorridente, non so se a me o al cane, dissi: «C'e un affamato».

mercoledì 17 febbraio 2010

Il bambino e il gatto bianco

Ho trovato sul web questo racconto... già il fatto che il protagonista fosse un gatto bianco è stato sufficiente per farmi fermare a leggerlo. Oggi - Giornata Mondiale del Gatto - lo pubblico per onorare utti i nostri amatissimi aMICI...

J.B. guardò con fierezza e soddisfazione fuori dalla finestra. Il suo ufficio, all’ultimo piano di uno dei grattacieli più alti di New York, dominava l’intera città.
C’è l’ho fatta!” pensò fra sé, era diventato il presidente del maggior gruppo finanziario statunitense. Lui, nato da genitori operai e nonni contadini, aveva saputo salire, gradino per gradino, l’intera scala sociale.
J.B distolse lo sguardo dalla finestra e cominciò ad osservare la propria stanza, sfiorò con la mano la poltrona nera di pelle pregiatissima, girò intorno alla scrivania accarezzandola come a voler toccare, assaporare la bellezza ed il potere che rappresentava e, giunto al centro della stanza, si fermò a guardare, con un giro panoramico, l’intero ufficio. Tutto ostentava ricchezza ed autorità, tutto era bello e prezioso.
Quando, molte ore più tardi, terminato il suo primo giorno da presidente dell'Institut Bank of America, J.B uscì dall’ufficio e s’imbattè in un bambino sporco e malvestito con in braccio un gattino bianco che, se fosse stato possibile, era ancora più malmesso del bimbo stesso. L’uomo dapprima lo evitò (non gli erano mai piaciuti i mendicanti, anche se bambini) poi però pensò che quello era stato un gran giorno per lui e, per questo, si sentì di animo più gentile. Tornò, allora, indietro per dargli una moneta, ma, inspiegabilmente, il bambino con il suo micetto erano scomparsi.
L’episodio gli sembrò così surreale da fargli tornare in mente un vecchio adagio di suo nonno “Un bambino povero ed un gatto bianco possono darti un tesoro molto più grande di un forziere pieno di monete d’oro”.
Che cosa volesse dire il nonno con quel proverbio non l’aveva mai capito bene. “Un tesoro più grande” pensò fra sé e, scuotendo la testa, la bollò come una credenza popolare, una vecchia suggestione contadina.
Passarono tre anni da quel giorno ed a J.B. tutto sembrò perdutamente cambiato. I giornali distribuiti sulla scrivania parlavano dello “scandalo finanziario del secolo”, delle perquisizioni della polizia nei suoi uffici e nella sua casa, dei suoi rapporti con esponenti di spicco di organizzazioni criminali. J.B. era distrutto: tutti gli anni di lavoro, tutto quello che era riuscito a costruire, improvvisamente, stava crollando. Era stanco, l’orologio segnava le 5 del mattino, si accorse solo allora di aver trascorso l’intera notte sveglio, a pensare e ripensare a quello che gli stava accadendo, all’inganno in cui era caduto.
Ora basta” pensò “Ho bisogno di aria fresca, di non pensare a nulla, almeno per un po’”.
Prese il suo cappotto ed uscì frettolosamente dall’ufficio. Scelse l’uscita secondaria, nonostante l’ora, qualche giornalista poteva sempre attenderlo e piombargli addosso come un avvoltoio. Rabbrividì al pensiero ed istintivamente allungò il passo. Aprì la porta di scatto, diede una rapida occhiata e non scorse nessuno. Sollevato varcò l’uscio ma, appena girò l’angolo, si trovò di fronte il bambino con il micio bianco. Era lo stesso di tre anni prima, con lo stesso gatto, gli stessi vestiti, persino, gli parve, con lo stesso sguardo. La visione lo colse di sorpresa e lo irritò allo stesso tempo.
Non ho spicci” disse bruscamente.
Non sono qui per avere da te” rispose il bimbo.
La risposta lo bloccò. J.B. indietreggiò di un passo per squadrare meglio quel ragazzino “Cosa vuoi allora?
Voglio regalarti un sorriso ed un tesoro”.
L’uomo rimase a bocca aperta, stava sognando forse od aveva le allucinazioni? Sembrava la vecchia storia del nonno che si concretizzava lì davanti ai suoi occhi…
J.B. rimase immobile, lo stupore gli immobilizzò il corpo, gli tolse le parole, sembrò fermare il tempo, mutare perfino il luogo in cui si trovava. La sensazione di non trovarsi più in mezzo ai grattacieli di New York, ma in un altro posto, che sentiva di conoscere ma che non riusciva a realizzare bene quale esso fosse, come accade a volte nei sogni, lo pervase fortemente fino a convincerlo che stesse effettivamente vivendo un’esperienza subliminale. Si guardò allora, intorno: eppure, la strada era la stessa di sempre, la porta di servizio era rimasta identica, immobile dietro di lui. Forse, lo stress di quei giorni gli stava giocando un brutto scherzo, pensò fra sé.
Cercò, quindi, di recuperare la propria razionalità: "Allora – chiese al ragazzo – di che tesoro parli?"
"Non certo del tipo che intendi tu - rispose - ma non temere, anche se sono solo un piccolo vagabondo vestito di stracci posso comunque darti qualcosa che ti manca da molto."
"Dimmi cosa!!!?", disse spazientito J.B.
"Non avere fretta, perché in realtà io posso solo darti il modo per trovare quel tesoro che tu, anche se non te ne accorgi più da molto tempo, cerchi."
"Che sarebbe?"
"Beh, questo non sarò io a dirtelo ma il mio gatto Arthur".
A quel punto all’uomo parve tutto talmente paradossale, dal bambino che parlava come un saggio al gatto che gli doveva mostrare chissà quale tesoro, che scoppiò in una fragorosa risata. Ma quando smise di ridere incrociò lo sguardo del ragazzo, serio, impassibile e perfino severo verso di lui.
"Puoi anche non crederci, ma io, se fossi in te seguirei Arthur" e mantenendo gli occhi fissi su J.B., alzò il braccio sinistro ad indicare la direzione che il gatto aveva preso.
L’uomo seguì istintivamente il micio e cominciò a corrergli dietro. Sentì l’aria fresca del mattino sbattergli sul viso, entrargli in petto, riempirgli i polmoni. Si tolse la giacca di dosso, la cravatta ed infine la giacca. Si sentiva finalmente libero e felice come ormai non gli accadeva da tempo, come quando da bambino giocava per le vie del suo quartiere. Correva sempre più forte J.B., correva sorridente e felice. Quando giunse in un prato Arthur si fermò, pochi istanti dopo sopraggiunse l’uomo che, sfinito ma contento, si gettò a terra, con il viso rivolto al cielo. Il micio gli balzò sopra per riempirlo di affettuose fusa e J.B. lo abbracciò e si ricordò del gatto bianco del suo inseparabile amico d’infanzia Frank. Già, chissà dove era finito e cosa stava facendo ora Frank, suo amico inseparabile fino all’università poi, la vita e soprattutto il suo lavoro, li divise. Improvvisamente, però, quei pensieri s’interruppero: l’uomo capì dove si trovava, si alzò di scatto, si guardò intorno di nuovo stupito: quello era il campo in cui giocava da ragazzo!! Non fece però in tempo a pensarlo che Arthur riprese la sua corsa e scavalcò il muretto di cinta proprio nel punto oltre il quale J.B e Frank, ai tempi del liceo, avevano costruito la loro base per le loro lotte studentesche. J.B. sorrise, prese la rincorsa e saltò il muretto…
Il vento si alzò d' improvviso, scompigliando i capelli di un immobile ed esterrefatto J.B. Quel casolare in cui erano nati molti dei suoi sogni da ragazzo era proprio lì davanti a lui. Certo, era stato restaurato: la porta, gli infissi ed i muri erano tutti nuovi, ma la struttura ed il luogo erano, incredibilmente, gli stessi. Già, perchè così come il parco, doveva trovarsi a svariati centinaia di chilometri da New York a Rochester, la cittadina dove era nato. L'uomo lesse l' etichetta sulla porta, tentennò per un attimo, poi suonò al campanello.
La porta si aprì e J.B. entrò. Ad accoglierlo c'era una ragazza dalla figura elegante e fine nei modi con un sorriso radioso ed un viso dai tratti gentili e dalla bellezza acqua e sapone.
"Buongiorno, desidera?"
"Buongiorno - rispose J.B. - cerco l' avvocato Jablonski"
"Ha un appuntamento?"
"No, ma gli dica che sono J.B.".
La signorina alzò il ricevitore dell 'intercomunicante ma non riuscì a finire la frase. La porta dello studio si aprì di colpo e di scatto uscì urlante e felice il suo vecchio amico Frank: "Che ci fai qui testa di tartaruga!!".
Testa di tartaruga, un vezzeggiativo che ormai non sentiva da più di vent anni. Il suo amico lo chiamava così, a sottolineare, in modo affettuoso, la sua cocciutaggine. I due si abbracciarono vigorosamente, poi, Frank lo guardò negli occhi e gli chiese: "Sono anni che non ti fai sentire, come diavolo mi hai trovato?"
"E' una lunga storia, non ci crederai, ma ti ho trovato seguendo un gatto."
"Un gatto!!!" esclamò stupito Frank "Non ti facevo un gattaro"
"Ed infatti non lo sono, comunque è una strana storia, forse ho avuto delle allucinazioni, sai è un periodo difficile."
"Lo so ho letto i giornali -disse l' amico che con un gran sorriso ed un eloquente gesto delle braccia lo invitò nel suo studio - "dai raccontami tutto."
Parlarono così, tutto il pomeriggio, passeggiando per le strade del loro quartiere, bevendo nei locali dove andavano da giovani, salutando vecchi amici e conoscenti. J.B. si sentiva libero, sentiva quella stessa sensazione di libertà che provò correndo dietro a quel gatto bianco. Per la prima volta dopo tanti anni, poteva finalmente parlare senza avere paura che chi gli stava di fronte lo potesse tradire, utilizzare una sua confidenza per sbarargli la strada. Quello era il mondo in cui viveva, era il mondo dell' alta finanza, dei grandi manager. Frank, invece, aveva fatto una scelta diversa, era diventato avvocato ed aveva creato un 'associazione che difendeva i diritti dei più deboli. Lui era rimasto fedele ai loro ideali giovanili, aveva continuato a credere in quei sogni. Due amici così vicini si erano perduti seguendo due strade così lontane.
La giornata volò fino a tarda notte. La sveglia trillò e J.B. si ridesto si soprassalto, cercò nel buoi l'interruttore ed accese la luce che illuminò la sua elegante stanza di N.Y.
"Peccato, sembrava tutto così vero ed invece è stato solo un sogno" pensò fra sè... J.B. si guardò intorno sconsolato, era stato tutto un sogno, non c'era stato nessun bambino saggio, nessun magico gatto bianco, nessun incontro con il suo vecchio amico Frank. Nulla di tutto questo era realmente accaduto mentre i giornali aperti e sparsi sul tavolo erano lì a ricordargli la dura realtà. Aprì le tende dell'enormi porte a finestra che dal suo attico gli consentivano di dominare a vista l' intera città. Il sole stava timidamente colorando l'orizzonte mentre le luci della città ancora illuminavano i palazzi e le strade. Quel panorama, che tante volte lo aveva fatto sentire forte e potente, quella mattina gli apparve freddo e vuoto. Il successo lo aveva raggiunto rinunciando all'amicizia di Frank, al calore di una famiglia, rinnegando i suoi principi. Riemersero in lui i tempi sereni dell'infanzia e quelli felici e scapestrati dell'adolescenza. Così, guardando l'orizzonte, mentre meditava sul suo passato, gli tornò in mente un altro vecchio adagio del nonno "La notte porta consiglio".
"Forse - penso fra sè - questa notte mi ha davvero portato consiglio".
Decise, allora, di rintracciare il suo amico di liceo. Molte cose, incredibilmente, risultarono uguali al sogno: Frank aveva trasformato il loro quartier generale studentesco nel suo studio, era rimasto fedele ai suoi ideali lottando e difendendo i deiritti dei più deboli. Anche se J.B. rimase colpito da come il sogno aveva riprodotto la realtà, da uomo pratico e razionale com'era, pensò che in fondo quello era ciò che il suo compagno di studi aveva sempre detto di voler realizzare: era, quindi, bastato questo alla sua mente per riprodurlo in sogno. Alcuni giorni dopo i due amici si ritrovano insieme a casa di Frank: "Sai J.B. - disse Frank - non sarà facile ma credo di poter dimostrare la non autenticità dei documenti che ti accusano."
"Hai fatto un ottimo lavoro - rispose J.B.- ma anche se le cose non dovessero andare per il verso giusto, avrò comunque ritrovato una cosa preziossima, la tua amicizia"
"Beh - rispose l'amico - come si dice: chi trova un amico trova un tesoro"
"Un tesoro che vale più di un forziere pieno di monete - confermo sorridendo J.B.- come diceva mio nonno".
Fu in quel momento che improvvisamente apparve un meraviglioso gatto bianco che con la tipica eleganza dei gatti irruppe nel salone lasciando a bocca aperta J.B.
"Ma quel gatto... da dove esce fuori?" chiese ancora sbalordito al suo amico.
"Questo è Palla di neve, è un gatto a cui sono particolarmente affezionato perchè me lo lasciò un bambino che stavo aiutando qualche anno fa e che purtroppo morì per una grave malattia".
L'uomo d'affari si senti mancare il fiato e con ansia chiese al suo amico se avesse una foto del ragazzo "Certo, aspetta un secondo dovrei averla qui" disse l'amico e dopo qualche istante la tirò fuori da un cassetto e la porse a J.B. lasciando totalmente sbigottito: era il ragazzo saggio del sogno.
Un vecchio detto popolare dice "Un bambino povero ed un gatto bianco possono darti un tesoro molto più grande di un forziere pieno di monete d’oro", a volte, i proverbi contadini, si avverano.

mercoledì 16 settembre 2009

Il bianco e il nero

Il Bianco.
Un gatto himalaiano dal pelo lungo ha percorso oggi in aereo migliaia di chilometri dal nordest tropicale dell'Australia per ricongiungersi ai suoi padroni nella temperata isola di Tasmania, a sud del continente. Il micio di nome Clyde, che ora ha quattro anni, era scomparso misteriosamente tre anni fa e i proprietari avevano affisso avvisi con la sua foto in tutta la regione senza risultato.

Il Nero.

Cane bruciato, ”testimonierà” in aula. Sarà un confronto inusuale, quello che avverrà, il prossimo mese di dicembre, in un’aula di tribunale, a Espira-de-l’Agly, nel sud della Francia. Mambo dovrà fornire la prova di ciò che un 17enne e una 22enne gli hanno fatto: lo hanno cosparso di benzina, e gli hanno dato fuoco. Il cane potrebbe anche riconoscerli, anche se il pubblico ministero vuole in primis fornire la prova della crudeltà del gesto dei due.

Sono solo due esempi... ma ogni giorno la vita ci mette davanti alla necessità di compiere una scelta. Bianco e nero, ma anche solo tra varie sfumature di grigio...
La nostra umanità si "legge" anche dalle scelte che operiamo.
E talvolta facciamo dei tonfi a dir poco imbarazzanti.

giovedì 30 luglio 2009

Piccole, grandi gioie

Appena letta...

La famiglia Rushby di Brisbane in Australia, non credeva più di ritrovare la sua cagnolina, sparita da casa nove anni fa. ma, si sa, la speranza è l'ultima a morire e di certo non la avevano dimenticata.
E quando l'altro giorno è squillato il telefono, mai si sarebbero immaginati che era proprio per lei:

Muffy, il cane ritrovato dopo nove anni (internet)

Muffy è stata ritrovata a Brisbane, a quasi 2 mila chilometri di distanza.
Urla di gioia e commozione.
Adesso non vedono l'ora di riabbracciarla.
Muffy ha vissuto negli ultimi due anni abbandonata in un cortile di una casa a Melbourne. Come sia arrivata lì è un mistero. A ritrovarla sono stati i veterinari del Rspca (l'ente protezione animali australiana) che dopo una chiamata anonima, stavano indagando su un caso di maltrattamenti di animali.

Muffy non è in buone condizioni: magra e con malattie della pelle dovute alle punture di insetti.
La fortuna ha voluto che la famiglia Rushby aveva inserito un microchip anche se, ai tempi non era ancora obbligatorio. Solo così è stato possibile rintracciare i precedenti proprietari.
«È una storia sorprendente», spiega Tim Pilgrim portavoce della Rspca. E proprio per avere un lieto fine come questo che «consigliamo alla gente di far inserire sempre un microchip nei loro animali domestici».
Muffy verrà portata a casa, a Brisbane, la prossima settimana.

Qui, dalle nostre parti, ci sono svariate zampette, baffi e codine in fibrillazione per la gioia.
Adesso auguriamo a Muffy di ricevere tutte le cure e le coccole che si merita.
Siamo pronti a scommettere che una cura intensiva di amore la farà tornare in forma smagliante...


martedì 17 febbraio 2009

Sua Maestà il Gatto

Oggi è la giornata nella quale, in tutta Italia, si celebra la Festa nazionale del gatto.
Su internet ho trovato una spiegazione molto accattivante dei motivi per i quali si è scelto proprio il 17 febbraio. Risulta che la data sia stata decisa attraverso un sondaggio fra lettori della rivista specializzata "Tuttogatto".
La motivazione è legata al fatto che febbraio, dal punto di vista zodiacale, è legato al segno dell'acquario, il segno dell'intuito, della libertà e dell'anticonformismo; caratteristiche tipiche dei gatti!
Il giorno appare come una fusione fra l'unicità di ogni gatto e la magia secondo la quale ciascuno di loro ha ben 7 vite.
E' cero, peraltro, che nel nord Europa il numero 17 ha un valore benefico, che significa anche "Vivere una vita sette volte"!
Se si scrive in numeri romani "XVII" e si fa l'anagramma si ottiene "VIXI" , parola latina che significa "HO VISSUTO". E chi più di un gatto, titolare di 7 vite, può dire di aver vissuto?

Comunque sia, qualunque siano le motivazioni, mi piace che ci sia una giornata dedicata alle "Loro maestà", dato che loro ci dedicano tanti giorni della vita che trascorriamo insieme.

E allora, facciamo festa ai nostri aMICI... e godiamo delle occasioni di far quattro chiacchiere con loro... mica sono animali banali che perdono tempo con chichessia!