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lunedì 10 maggio 2010

Doreàn

Casualmente (chissà poi se è proprio unicamente un caso o la tanto poco prossima Provvidenza!?!), quasi ogni volta che mi trovo sconcertata a pensare a quanto poco io mi senta rappresentata da certe gerarchie ecclesiastiche, mi capita di "conoscere" un Sacerdote.
Oggi è stato don Luisito Bianchi...
Ordinerò il suo libro "Quando si pensa con i piedi e un cane ti taglia la strada.
Ma so già che lo amerò... il libro, il Sacerdote e Doreàn, il cagnolino trovatello al quale fu imposto il nome di "Gratuità"...

(…)
Stavo, dunque, ritornando dalla località detta Occhiò, e avevo già infilato il viale recentemente alberato che dalla via Emilia porta dritto a Viboldone, quando vidi a metà strada, seguito da un cane nero, un signore dall’andatura di chi non sa che fare fino all'ora di pranzo. Mantenni il mio ritmo. Alla svolta per il borgo l'avevo quasi raggiunto. Il cane lo seguiva, con il muso a pochi centimetri da terra fiutando qua e la, convulsamente, quasi cercasse un'orma perduta. L’uomo passò davanti alla piazzetta antistante il cancello dell'abbazia, e il cane dietro. Subito dopo, io piegai ad angolo retto, il cane si bloccò, tornò indietro e mi seguì. Non gli feci caso; non mossi una mano per un cenno. Di cani non ne ho mai avuti — hanno tutti un padrone —; cammino sempre con un bastone in mano perché, nel mio andare fra i campi, suscito latrati furiosi e un bastone in mano mi da sicurezza, contro cani e altro. Ad abbaiarmi contro è perfino quel cagnetto che non ha padrone giacché è lui stesso padrone delle monache, e che risponde al nome di Bene, forse abbreviazione di Benedetto dato che le monache sono benedettine; allora gli dico: «Ohi, Bene, non fare lo stupido» e lui tace e mi manda una scampanellata di coda. Una volta gli volevo fare festa mentre scendevo in garage, e lo chiamai. Lui si portò a filo della ringhiera sullo scivolo, alzò la zampetta posteriore e fece quello che normalmente fa un cane in tale posizione. Un passo ancora e me la prendevo in testa. Forse non ci fu dolo, forse fu solo emozione per quella mia inusuale tenerezza, ma se fosse stato il cane d'un prete avrei detto: «Scherzo da prete!» (per sottolineare una diversità fisiologica fra Bene, marrone rossiccio, e l'altro nero, basti dire che quest'ultimo alzava, nei giorni che stette al monastero, chissà per quale ragione, la zampetta anteriore. «Va' là» gli dicevo «che non hai ancora imparato a fare il cane»). Non gli feci, dunque, caso, pensando che con la mia indifferenza l'avrei subito spinto dal suo padrone, il quale aveva ormai invertito il cammino passando ancora davanti alla piazzetta. Mi fermai prima di varcare il cancelletto, per dare modo al cucciolone di accorgersi che il suo padrone se ne stava andando e che lui, se non lo voleva perdere, doveva affrettarsi; e mi meravigliai che il signore non lo chiamasse, che continuasse a testa bassa la sua strada; e il cane lì, ad annusarmi, a girarmi attorno, a saltarmi addosso appena varcato il cancelletto, a farmi una serie di evoluzioni intorno, in silenzio. Non m'intendo proprio nulla di cani e del loro linguaggio, ma ebbi 1'impressione che mi volesse dire: «Guarda che al mondo non ci sei appena tu, ci sono anch'io». A ogni giro attorno alla mia persona tentava un salto verso il mio volto; e quanto più gli dicevo: «Smettila, sta' giù», raddoppiava i suoi disperati tentativi di farmi notare la sua presenza. Arrivai, con queste evoluzioni, al portone del monastero. Suonai, e alla monaca che apriva sorridente, non so se a me o al cane, dissi: «C'e un affamato».